Tutto è andato bene, controllato, monitorato ed eseguito secondo collaudatissimi protocolli d’intervento. Tutto è perfetto, poi… Poi, improvvisamente, dopo due o tre giorni, tutti a casa: le luci della ribalta si spengono e la maternità, così come la paternità, diventano totalmente fatti privati.
Strutture, operatori sanitari, assistenza, monitoraggi, tutto si dilegua: nel breve tragitto dall’ospedale a casa la poesia lascia il posto alla prosa della realtà, non senza lasciare nel profondo di molte di voi neomamme un amaro senso di sbigottimento, impossibile persino da ammettere a se stesse. Non vi ritroverete certo nel deserto e nella solitudine, anzi: parenti e amici vi daranno la sensazione che la festa sia appena cominciata, ma il bimbo, quel bimbo, ora è lì davvero. Si muove, piange, respira, dorme, urla, vi guarda, ha fame.
Che si fa?
Il ritorno a casa con il piccolo rappresenta la nascita reale della famiglia. Ora si è davvero in tre (o più) e i cambiamenti della vita sono ormai concreti e reali. I giorni successivi provocano una vera e propria trasformazione, piena di sentimenti contrastanti e di confuse emozioni: a sentimenti di gioia, onnipotenza e benessere si alternano sentimenti di perdita, di rabbia, di fastidio, di insicurezza.
Quanto realmente succede nella vostra mente nei giorni intorno e dopo il parto è in realtà un po’ complesso. La felicità è a corrente alternata: benché possiate avere la fortuna di poter contare su una valida rete di supporto, lo stress rimane alto e tutto assume le fattezze di una ripida montagna da scalare.
Lo choc del parto è ancora al centro della vostra mente, mentre salgono nuove tensioni, nuove preoccupazioni, a volte emozioni sconcertanti caratterizzate da improvvisi sbalzi di umore. Si alterneranno apatia e depressione, senso di inadeguatezza e paura di non farcela; l’amore per il piccolo (tra l’altro ancora difficile da sentire) spesso non sarà disgiunto da sentimenti di rabbia.
Che succede? Chi l’avrebbe mai immaginato, nonostante le tante anticipazioni che vi siete fatte e che vi hanno invitato a fare? Ormoni impazziti?
In parte sì, ma è la paura a giocare il ruolo primario:
- paura di non farcela ad amare fin da subito il figlio come pensavate quando era nella pancia;
- paura di quell’indescrivibile senso di indifferenza o di anestesia emotiva che vi assale ogni tanto;
- paura che gli altri se ne possano accorgere e possano giudicarvi.
Dovete sapere che favorire fin da subito una valida relazione di attaccamento e sviluppare un sentimento di amore non è né facile né scontato. Percepire di non amare a sufficienza il vostro bambino è un’esperienza angosciosa, quasi impossibile da condividere. Tale solitudine, unita agli sbalzi di umore favoriti dai flussi ormonali ancora in cerca di stabilità, può dar luogo ad un profondo stato di prostrazione psicologica, strutturandosi a volte nella cosiddetta depressione post partum.
Da una parte dunque dovete fare i conti con i livelli di estrogeni, progesterone ed endorfine in caduta libera dopo il parto (senso di svuotamento); dall’altra con quel senso di solitudine interna e impotenza che vi portano a pensare di non essere in grado di dare amore al piccolo (senso di vuoto), senza per altro potervi confrontare con nessuno (senso di vergogna).
Non appena quel giorno il bimbo si concretizza davanti ad i vostri occhi e soprattutto quando lo accarezzate per la prima volta, percependo il calore corporeo, il respiro e quel leggero affanno tipico di chi non sa dove si trova e cosa sta succedendo o quando per la prima volta incrociate i suoi occhi comunque così grandi su un visetto così piccolo, strane domande si affacceranno alla vostra mente: “sarò in grado di farlo sopravvivere?”, “riuscirò a capirlo?”, “andremo d’accordo?”, “ce la farò?”.
Le paure possono così essere tante:
- che smetta improvvisamente di respirare;
- che si soffochi durante la notte o durante il sonno;
- che non lo sentiate di notte se sta male e piange;
- che non mangi abbastanza;
- che non abbiate latte a sufficienza da poterlo allattare al seno;
- che cada dal fasciatoio;
- che non siate in grado di fargli il bagnetto;
- che non cresca come gli altri;
- che non riusciate a capire cosa vuole quando piange;
- che si senta abbandonato se non lo tenete in braccio.
Si tratta per lo più di paura e timore di fallire in quanto madre, di scoprire di essere un bluff e di non essere all’altezza del compito. Succede così, già a poche ore dal parto, di ritrovarsi a controllare il respiro del piccolo quando è con voi, ad agitarvi sull’allattamento, ad innervosirvi ad ogni consiglio vi venga dato in quanto vissuto come critica svalutante o provocazione.
Mamme da una manciata di ore o di giorni e già ansiose: l’opposto di quanto avevate giurato di non fare mai. Tutte queste preoccupazioni, entro certi limiti, sono normali e possono durare per l’intero primo anno di vita di vostro figlio. Ma già dal secondo mese e mezzo il vostro bambino inizia a dedicarsi a guardare intensamente i vostri occhi, anche per un intero minuto senza mai distogliere lo sguardo.
L’intensità nel guardarsi negli occhi costituisce a tutti gli effetti la conferma dell’amore, dell’essere riusciti a sintonizzarvi, rispecchiandovi l’una nell’altro.